Macellai, cacciatori e cuochi

Macellai, cacciatori e cuochi

E’ diventato un luogo comune dire che la dieta medievale consisteva primariamente…di carne… Il quadro di commensali medievali a stento civilizzati, avvolti in pellicce di animali, che strappano a morsi da cosciotti stillanti grasso carni semicrude, è un’immagine molto banale e resta impressa nella mente.

T. Scully

La pietanza più apprezzata in ogni banchetto era sicuramente la carne, meglio se arrosto, meglio ancora se di selvaggina. Non era però concessa tutti i giorni: la Chiesa imponeva molti giorni di astinenza dai prodotti di origine animale, quasi un terzo dell’anno.

Le regole per un perfetto arrosto non ci sono state tramandate: in nessun ricettario ci viene spiegato quali sia il modo migliore per mettere allo spiedo un fagiano piuttosto che un cinghiale, perché probabilmente erano informazioni del tutto superflue per qualunque cuoco che si rispettasse. L’unico che dà qualche suggerimento supplementare è Mastro Martino che scrive alla fine del ‘400; grazie a lui sappiamo che la vacca e il bue vanno allesso, i volatili tutti arrosto come lepre e coniglio, la capra è buona solo in gennaio e l’orso solo nei pastelli, il cinghiale è migliore in piperata o in civiero, mentre la “carne de porco non è sana in nullo modo.”

Questa diffidenza verso il maiale, tipicamente medievale, deriva forse dal fatto che si riteneva l’animale portatore di malattie terribili (ed incurabili) come la lebbra. Per questo veniva sottoposto a specifici controlli molto accurati più che ad altre bestie da macello.

Altro animale che non erano considerato commestibile era il cavallo, ma più per motivi “affettivi” e sicuramente utilitaristici: il cavallo, per chi lo possedeva, era di certo più utile da vivo.

La carne si acquistava nei mercati cittadini; qui veniva macellata in strada e doveva essere venduta freschissima, massimo nei due giorni dopo, altrimenti veniva passata ad altri mercanti che la salavano e la destinavano ad altre preparazioni. La vendita era permessa solo nei giorni di grasso e, ovviamente vietata nei periodi di stretta astinenza come Avvento e Quaresima.

Anche la carne, come altri prodotti costosi (come le spezie) subiva sofisticazioni. Per rendere la carne più tonica e distesa, quindi all’apparenza più fresca, si poteva insufflare all’interno dell’aria attraverso un buco. Lo spiega molto accuratamente l’anonimo cuoco del trecentesco Liber de Coquina:

recipe gallinam vivam et aperi corium suum…unum foramen solum, quod entus possit entrare. Postea recipe fistulam parvam de paleis vel pluma; et per istam fistulam…vento impleatur…

Cioè, tradotto in sintesi, si fa un buchino sul collo della povera gallina (viva!) e, tramite una sorta di cannuccia, si soffia dell’aria. In questo modo la gallina risulterà gonfia e tesa. Ca va sans dire…un sistema alquanto crudele.

La destinazione degli avanzi della macellazione poneva…un problema particolarmente serio…gli operatori dei macelli (si liberavano) delle quantità in eccesso di sangue, peli, sterco e frattaglie nel modo più semplice e costoso, rovesciandoli a volte nei fossi … o nei corsi d’acqua… i cittadini si lamentavano sempre violentemente, lagnandosi per l’orrendo, nocivo, puzzo provocato da una simile criminale indifferenza del benessere pubblico.”

T. Scully

Per questo motivo si tentò più volte di regolamentare la situazione dello smaltimento dei rifiuti, ma probabilmente con scarsi risultati.

I nobili avevano anche a disposizione riserve di caccia molto estese da cui arrivavano quotidianamente animali di piccola taglia, lepri, conigli, o grandi, come cinghiali, daini ed anche orsi. A questi si aggiungano fagiani, tordi, pernici, piccioni…

Il cuoco aveva quindi a disposizione sempre carne fresca che veniva talvolta lasciata “frollare” per alcuni giorni come nel caso della selvaggina. Molte le ricette a base di carne che veniva cucinata non solo arrosto, ma in umido o in civiero, cioè in salmì, oppure entrava nei pastelli o nelle torte, intera o macinata con l’aggiunta di uova e formaggio come nella torta Manfreda. Ovviamente non mancavano le spezie in abbondanza e in varietà.

Quello che sicuramente non doveva mancare era l’accostamento delle salse o savori: colorate e saporite accompagnavano il palato nella degustazione delle carni arrosto. Erano fondamentali per temperare la secchezza delle pietanze in base alle complicate teorie umorali; lo prescrivevano i medici, i phisici dell’epoca, primo fra tutti Maino de Maineri, il quale, medico, nel Trecento scrisse un breve trattato, un Opuscolus, in cui declama le virtù dei savori, nonostante sia convinto della loro inutilità dal punto di vista nutrizionale:

Agliata

“Saporum delectamenta propter voluptatem magis quam propter sanitatem a gulosis
fuerunt primitus adinventa non cum sint multum necessaria in sanitatis regimine ymmo quod plus est interdum inferunt nocumenta..”

“inventati dai golosi” fanno più male che bene, ma, obtorto collo, comunque ci dà delle ricette molto interessanti di varie salse adatte per carni o pesci.

I ricettari sono pieni di ricette di salse varie: camelina, piperata, salsa verde, agliata e via andare… se volete cimentarvi le trovate qui, qui, qui, qui.