La pratica della frittura comincia presto, in età antica, quando ci si accorse che un qualsivoglia alimento immerso in un grasso bollente diventava prelibato; frittelle di ogni genere, dolci e salate, venivano servite ad ogni banchetto che si rispetti, dopo l’arrosto e prima del desserte.
“…nella lista delle cosiddette devozioni (cibi abbinati a ricorrenze religiose) la frittella è tradizionalmente legata alla festività di san Giuseppe (il 19 marzo), detta appunto “giorno dei cenci”. La grottesca moglie di Sollazzo non lascerebbe, ‘l dì de la cenciale, che non mangiasse un quarto de frittelle”.
Durante il Carnevale, soprattutto al centro-sud, si preparano le zeppole, con ricette variamente assortite, ma sempre fritte. Famose quelle campane dette di san Giuseppe, una pasta choux fritta ripiena di crema pasticcera che si preparano appunto per il 19 marzo. Il termine zippulae compare nel latino tardo cristiano del VI secolo con il significato generico di dolciumi, e forse deriva da una parola longobarda, zippa che significa estremità appuntita.
Rimanendo in loco, ho trovato delle ceppole de dattali (zeppole di datteri) molto particolari, ricetta di un tale Anton Comuria, detto Anonimo Lucano, probabilmente napoletano. Il suo ricettario è del 1524, ma le ricette che scrive sono frutto di un’elaborazione lunga decenni. Dunque friggiamo:
Ceppole de dattali
100gr. di datteri snocciolati acqua di rose q.b. 100gr. mandorle tritate 1 cucchiaio di zucchero cannella, pepe, zenzero maggiorana tritata mezzo cucchiaio poca farina di riso
Si mettono i datteri in ammollo in acqua di rose per una notte; poi si sgocciolano e si passano nel mixer con gli altri ingredienti. Se l’impasto dovesse risultare troppo sodo, si aggiunge un po’ dell’acqua di rose dell’ammollo.
Si fanno delle palline non troppo grandi da passare in un velo di farina;
si friggono in burro (meglio se chiarificato) spumeggiante. Servire calde cosparse di miele e cannella.
Questi dolcetti sono una vera e propria leccornia. Mi hanno fatto venire in mente un dolce mangiato anni fa ad Alessandria d’Egitto grondante miele e spezie…
Tornando al nord, in tema di fritti e di scherzi carnascialeschi, prepariamo delle fritelle coglioni, ebbene sì…avete capito bene, tratte dall’Anonimo Padovano, scritte alla fine del 1400, non di meno che, dal cuoco dell’arcivescovo di Padova, che si sarà fatto di certo delle gran risate.
Tre ricette in una:
Fritele coglioni
- 150gr. ricotta 150gr. farina 70gr. uvetta 3 uova spezie dolci zafferano
- 300gr. ricotta 150gr. farina 5 tuorli 2 cucchiai di zucchero acqua di rose q.b.
- 300gr. farina 5 uova mezza bustina di lievito per dolci 100gr. uvetta zafferano
Con gli ingredienti si preparano tre impasti morbidi. Con l’aiuto di due cucchiai si fanno, ovviamente, delle palline (nomen omen) e si friggono in olio caldo; si servono tiepide cosparse abbondantemente di zucchero.
La tecnica di frittura deve essere quella tipica medievale, cioè non ad immersione nell’olio, ma in padella con olio basso, una specie di rosolatura, usando l’olio nei tempi di magro e il lardo in quelli di grasso.
Per le uova, regolatevi con l’impasto che non dovrà diventare troppo liquido; ho aggiunto anche un pizzico di sale per dare un po’ di sapidità. La dolcezza delle num. 1 e 3 è data dalla presenza dell’uvetta, ma secondo me, ci sta anche un paio di cucchiaiate di zucchero. Provate, in base ai vostri gusti, e comunque fritto è buono tutto…