Open minded cook

Open minded cook

“Già si è accennato a quanto sorprendenti possano rivelarsi i risultati di un riadattamento delle ricette medievali…tali risultati sono tanto più soddisfacenti, quanto più pratiche di cucina sono le persone che abbordano le antiche ricette; per persona pratica di cucina si intende qualsiasi appassionato che si destreggi ai fornelli con disinvoltura..

T. Scully lo definisce open minded-cook, ed è infatti una conveniente apertura mentale, oltre a un volenteroso interesse, il principale requisito per avvicinare sapientemente le antiche ricette di cucina , con quella dose giudiziosa di libertà e inventiva che, alla fine, guidavano la mano anche ai cuochi medievali.”

Alla base dell’alimentazione medievale non c’è il pane, come si potrebbe pensare, ma la zuppa di cereali. Il pane, infatti, richiedeva delle operazioni che non tutti potevano permettersi, come la macinatura dei chicchi e la cottura in forno. Invece, una zuppa è di più semplice preparazione: bastano una manciata di cereali vari e un po’ d’acqua, si fa bollire il tutto ed è pronta. Ovviamente, da questa miserrima base, si parte per confezionare piatti alle volte molto ricchi ed elaborati, come i biancomangiari, le fromentiere e i brodetti.

Oggi vi parlo della fromentiera, minestra a base di frumento, piatto famoso descritto anche nei ricettari francesi e inglesi. Sebbene il nome consigli di utilizzare del frumento, in origine si faceva anche con miglio, orzo e avena; la diretta “progenitrice” è la granea triticea raccontata da Catone (86) preparata con grano duro. Sebbene sia considerata cibo vile, (Savonarola nel 1515 la definisce pasto da vilano e da homeni robusti e de exercitio grande) compare anche sulle tavole dei signori, come accompagnamento alla selvaggina, o arricchita con carne.

E’ il caso della riccea , dall’arabo harisa ma di origine persiana, fatta con carne di bue, che si dice fosse estremamente gradita a Maometto. Si prepara facendo lessare molto a lungo del farro a cui si aggiungono carni tritate, lardo e spezie. Una variante di magro prevede l’aggiunta di formaggio e uova al posto della carne, oppure solamente latte di mandorle e molte spezie. Un tratto comune a tutte queste ricette è il riposo notturno del cereale che dovrà diventare molto molto tenero.

Le ricette simili sono tante: quella che ho scelto è la ricetta quella, leggermente corretta, di Anonimo Toscano, e siamo alla fine del ‘300.

Del farro di spelta

Togli il farro de la spelta monda e rotta, e fallo bullire un poco;
e gittata via quella acqua lava il detto farro molto bene e ritornalo
a cocere con latte di capra o di pecora, ovvero d’amandole, fino
che sia ben cotto. Trita il cascio fresco e mestalo con albume d’ova
e mettilo nel detto farro bogliente, e bolla un poco. E puoi mettervi
carne di galline o di polli, a modo di blanchemangieri…

200 gr. di farro, mezzo litro di latte di mandorle, 1 albume, 50 gr. di formaggio fresco a pezzetti

Cuocere il farro in acqua, per almeno mezz’ora dal momento dell’ebollizione; poi spegnere la fiamma e lasciar assorbire il liquido. Poi scolare i chicchi e metterli di nuovo a cuocere con il latte di mandorle e acqua a coprire. Cuocere a lungo finché il farro non sia quasi disfatto. A cottura ultimata aggiungere un albume sbattuto mescolando energicamente e il formaggio. Servire nelle scodelle con spezie in polvere a piacimento e un filo d’olio.

Ho utilizzato del farro intero (e non spezzato) come prescrive Hildegarda di Bingen almeno tre secoli prima in una zuppa perfetta per gli ammalati. Le spezie non sono citate ma, immagino, che fosse scontato che ci fossero: ho profumato, quindi la zuppa con la miscela di spezie per tutti gli usi.