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Parmentier, L’Ecluse, pregiudizi e patate

Parmentier, L’Ecluse, pregiudizi e patate

Il nome di Charle de L’Ecluse forse non vi dirà nulla, ma nella storia dell’alimentazione moderna merita un posto di riguardo. Soprattutto se amate le patatine fritte. Andiamo con ordine. Il dottor de L’Ecluse, più noto con il nome latinizzato di Carolus Clusius, era nato 

Open minded cook

Open minded cook

“Già si è accennato a quanto sorprendenti possano rivelarsi i risultati di un riadattamento delle ricette medievali…tali risultati sono tanto più soddisfacenti, quanto più pratiche di cucina sono le persone che abbordano le antiche ricette; per persona pratica di cucina si intende qualsiasi appassionato che 

Zafferano e sumac

Zafferano e sumac

“Il Trecento è un secolo che ama i colori vivaci…con preparazioni culinarie bianche, gialle, verdi, rosse, nere. E’ una ricerca cromatica che coinvolge ogni aspetto della vita quotidiana alla quale il cuoco medievale non sembra insensibile con le sue preparazioni fantasiose, continuamente variate… Piatti multicolori quindi, nel tentativo di promuovere l’immagine di una cucina attenta anche alla presentazione e non solo al contenuto.”

Nel mondo simbolico medievale, il colore (degli abiti, degli stemmi, dei cibi…) è fondamentale e serve sostanzialmente a distinguere il ricco dal povero, il grasso dal magro, il liturgico dal diabolico.

Tutti indossavano abiti colorati, ma il ricco si poteva permettere panni dai colori brillanti ed intensi, mentre il povero per lo più vestiva con colori slavati e stinti. Il giallo insieme al verde era il colore dei folli, diabolico e trasgressivo, mentre il rosso era molto utilizzato. Interessante invece il blu, che era disprezzato dai Romani perché considerato come il colore dei barbari, mentre intorno all’anno mille si diffonderà moltissimo per diventare colore cristologico e mariano.

Per quanto riguarda la cucina, il cuoco medievale era attentissimo al colore di ciò che cucinava e poco importava se spesso i coloranti erano sostanze nocive alla salute, come il cinabro e il minio; “desta un tanto di compiaciuto stupore apprendere che, molto tempo prima che queste cognizioni trovassero il conforto della prova scientifica, qualcuno singolarmente scrupoloso come lo sconosciuto Maestro Andromachasso di Anonimo Padovano, così esprimesse la propria diffidenza: Biasmo tutti li colori, excepto li sandali, tre rasoni di more, cerese, marasche, fiori di radichio e di boragine, e oro e arzento fino: le altre sonno con pericolo.”

Chi cucinava non si preoccupava troppo della tossicità di quelle sostanze: insomma l’importante era il risultato e poi pazienza se qualche commensale accusava un po’ di mal di pancia:

è attestato l’uso in cucina di taluni pigmenti…non precisamente innocui se ingeriti, quali il cinabro e il minio, l’indaco, il tornasole; anche certi vegetali, non vanno esenti da sospetto, come il comune rosolaccio e il gittaione, l’aquilegia, e soprattutto le bacche di morella…L’interferenza del sapore più o meno gradevole, della materia colorante con quello degli altri componenti, di norma non costituiva un problema”.

In tutti i ricettari ci sono indicazioni, anche molto precise, sulla tonalità da dare ad una torta o a un raviolo: il colore preferito è il giallo seguito dal bianco e poi dal verde mentre poco usato è l’azzurro. Utilizzati soprattutto per stupire, si usano per le torte, le zuppe, le gelatine.

L’ultima parola spetta al cuoco, come spiega l’Anonimo Toscano:

“Per queste cose che dette sono, il discreto cuoco potrà in tutte cose esser edotto, secondo la diversità dei regni; e potrà i mangiari variare e colorare, secondo che a lui parrà.”

Lo zafferano è una polvere ricavata dagli stami di un fiore rosa, il Croco Sativo. Gli stami si staccano a mano ancora oggi di primo mattino, ma per fare un kg di polvere occorrono circa 450.000 stami.

In Asia Minore si coltivava già nel II millennio a.C., era conosciuto nell’antica Roma e si comprava soprattutto quello che arrivava dalla attuale Turchia, la Cilicia. Con la caduta dell’Impero romano scomparve per qualche secolo per riapparire poi intorno all’VIII secolo in Spagna e poi da lì in tutta Europa. La leggenda vuole che la coltivazione in Italia sia cominciata nel 1230 grazie ad un frate domenicano abruzzese di ritorno da Toledo dove aveva conosciuto questa coltivazione. In Italia il migliore si coltivava in Toscana, meno pregiato quello in Abruzzo e quello siciliano. Pur non essendo un prodotto esotico, come le altre spezie, costava moltissimo, intorno ai 20 soldi per oncia (circa 30 gr.) cioè 15 volte di più della carne di bue. I mercanti lo acquistavano in sacchi di cuoio, in forma di pistilli e poi lo macinavano. Era però anche un prodotto che si prestava facilmente a sofisticazioni e ad imbrogli vari da parte dei venditori all’ingrosso che aggiungevano sabbia nei sacchi per aumentarne il peso, oppure sostituendo parte della polvere con la curcuma che ha lo stesso colore ma è meno pregiata.

Esisteva poi una specie di zafferano meno pregiato che si estraeva da una pianta africana: lo chiamavano zafferano bastardo o saracinesco, meglio noto con il nome di cartamo, che si utilizzava per colorare le stoffe. L’uso smodato dello zafferano in cucina finirà nel’500, ma rimase nella pratica erboristica e nella medicina: nel ‘600 si riteneva che rianimasse il respiro ai moribondi.

Il sumac o sommacco è una pianta mediterranea di cui si utilizzano i frutti rossi essiccati e polverizzati, dal profumo acidulo di limone. Si comincia ad utilizzarlo già nel IV sec. a.C. come condimento, ma anche nella medicina per le sue proprietà astringenti contro la diarrea o le ulcere. Nonostante non sia una pianta esotica, l’uso in cucina deriva dall’Oriente e solo per un periodo limitato a circa un secolo. Era molto apprezzato per il colore che dava alle pietanze: è l’ingrediente principale della Sumachia, uno spezzatino di carne, ma viene utilizzato anche per colorare delle focacce di orzo e frumento.

Il piatto che ho preparato è il Verzuso in Quadragesima, una crema dolce profumatissima, con mandorle, cannella, acqua di rose e naturalmente zafferano.

Verzuso in Quadragesima

300 gr. di mandorle sbucciate e pelate, 230 gr. di zucchero semolato, 30 gr. di mollica di pane bianca, cannella, acqua di rose, zafferano, succo di 1 arancia, aceto di mele o vino bianco secco

Ammollare la mollica sbriciolata nell’aceto o nel vino a coprire. Mettere nel mixer le mandorle con lo zucchero e tritare finemente. In una casseruola mettere la polvere di mandorle e la mollica leggermente strizzata, aggiungere il succo di arancia e cuocere a fuoco dolce per circa unadecina di minuti. Aggiungere la cannella in polvere q.b., una bustina di zafferano e due cucchiai di acqua di rose. Far cuocere altri cinque minuti per arrivare alla consistenza di una crema.

Non è dato sapere se servirla calda o fredda, a me è molto piaciuta tiepida, fate voi…

La lenticchia di Esaù

La lenticchia di Esaù

Una volta Giacobbe aveva cotto una minestra di lenticchie; Esaù arrivò dalla campagna ed era sfinito. Disse a Giacobbe: «Lasciami mangiare un po’ di questa minestra rossa, perché io sono sfinito»… Giacobbe disse: «Vendimi subito la tua primogenitura». Rispose Esaù: «Ecco sto morendo: a che mi serve allora