Il Symposium

Il Symposium

Riunirsi per mangiare insieme non è semplicemente una condivisione di cibo; sin dall’antichità per arrivare fino all’epoca moderna, passando per il Medioevo, partecipare ad una banchetto significava affermare la propria identità, il proprio potere (economico, politico…) e il proprio status sociale. Generalmente è una roba da uomini: le donne sono escluse, almeno quelle con una reputazione certa, mentre sono molto ben accette danzatrici e suonatrici, le eterai, etere, che oggi potremmo tradurre con il termine generico di cortigiane. Queste giovani danzavano e suonavano la lira, la cetra o l‘aulos, una specie di flauto che poteva essere anche a doppia canna.

Il banchetto seguiva regole ben precise e una rigida scansione temporale. Cominciava nel tardo pomeriggio e prendeva spesso il nome di deipnon. Gli ospiti venivano accolti in una stanza preparata per l’occasione dove si sistemavano semisdraiati sui klinai, sempre sul lato sinistro per poter avere libera la mano destra. Non esistevano tovaglie, tovaglioli o posate, tranne forse il cucchiaio.

Si mangiava con le mani (che venivano spesso lavate da servi) secondo un’usanza che rimarrà tale fino al Medioevo. I cibi venivano portati in tavola già sporzionati e tagliati. Dopo aver mangiato e bevuto molto, la sala veniva ripulita e sparecchiata e cominciava la seconda parte del banchetto, la più importante, il Simposio.

I convitati profumati con olii e cinti da corone di edera o di alloro, si dedicavano alla vera e propria pratica conviviale. Dopo aver fatto libagioni agli dei, si eleggeva il simposiarca, il re del simposio, colui che doveva “guidare” la serata, decidendo quanto doveva essere diluito il vino, gli argomenti da trattare, i giochi da fare.

Il vino veniva sempre diluito con acqua, addolcito con miele e profumato con erbe e spezie. Si utilizzavano dei grossi vasi, i crateri, a due manici da cui si travasava il vino in brocche più piccole, le oinochoe (oinos significa vino, appunto) con le quali i coppieri servivano il vino ai convitati.

Cratere, museo archeologico di Milano

Ognuno aveva il proprio bicchiere, o meglio una kylix, o uno skiphos o un bellissimo rhyton con la testa di animale. In estate si utilizzava un recipiente riempito di neve o ghiaccio, lo psykter, che veniva immerso in un vaso più grande per raffreddare il vino. Inutile dire che tutti questi oggetti erano delle vere e proprie opere d’arte che oggi ammiriamo nei musei archeologici di tutto il mondo (o quasi!)

Oinochoe, museo archeologico di Milano

Per conciliare la bevuta venivano serviti pasticcini dolci e salati a base di formaggio, accompagnati da olive, frutta fresca e secca. E’ il momento della musica, dei canti, delle disquisizioni politiche e filosofiche ma anche dei giochi, primo fra tutti, il kottabos: con le ultime gocce di vino rimaste nella propria tazza si tentava di colpire e far cadere dei piattelli collocati in bilico su di un’asta in mezzo alla sala. La cosa doveva risultare abbastanza complicata, un misto di precisione e destrezza. Al vincitore spettavano onori e gloria e magari i favori di qualche giovane

Wikipedia

La principale fonte di informazione sui cibi e rituali dei banchetti classici è un librone di Ateneo di Naucrati, greco nato in Egitto nel II sec. Si intitola Deipnosofisti, cioè “i filosofi al banchetto”.