Breve storia di una crostata finita male

Breve storia di una crostata finita male

Il termine crostata sta ad indicare la pasta che sta “sotto” ad una torta, la crosta appunto, che contiene del ripieno vario ed eventuale. Nel Medioevo le torte erano sempre presenti in un banchetto: si riempivano di ogni ben di Dio, con un gusto che raramente era solo dolce o solo salato, ma mescolava ingredienti diversi tra loro. Erano chiamati pastelli, torte, crostate ed erano diversi tra loro per modalità di cottura e farcitura.

Il pastello ha un involucro di pasta molto resistente, che deve stare sù da solo senza l’ausilio di stampi, spesso pre-cotto vuoto con il proprio coperchio. Il ripieno è fatto di grossi pezzi, per lo più di carne o addirittura animali interi.

La torta è più antica: la sfoglia che deve essere sottile, va cotta in uno stampo ad hoc, farcita e cotta n forno. Non sempre si fa un coperchio di pasta ma talvolta sono previsti più strati di sfoglia a separare il ripieno (come la torta in balconata).

Le composizioni con cui si farciscono le torte sono di una varietà sorprendente …e hanno la tipica consistenza omogenea e pastosa che è la caratteristica saliente delle torte.

E. Carnevale Schianca

Quindi in questo caso il ripieno deve essere morbido, tritato dove serva, ben omogeneo. Ci sono magnifiche ricette di torte al formaggio, alle verdure, con pesce o carne, con frutta secca e latte di mandorle e la famosa torta parmesana, complicatissima, piena di ingredienti e di difficile preparazione (per noi oggi quasi impossibile!)

La crostata è molto simile al pastello ma è previsto uno stampo e può essere ad una o due croste. Il ripieno è per lo più di pollame, lasciato intero o solo smembrato. La tecnica è più o meno sempre la stessa: il piccione o il pollo vengono smembrati, soffritti nel lardo e messi nella crosta cruda. A questo punto si aggiunge una specie di crema ottenuta con uova sbattute, spezie, brodo o succhi agri di citrangoli o agresto.

Una variante è data dalla crostata di pesce, soprattutto anguille o lamprede. Si adagiano sulla crosta i pesci sfilettati e si aggiunge la parte brodosa fatta con latte di mandorle, uvetta, mandorle intere e spezie. Un piatto tipicamente di magro che avrà fatto un’ottima figura sulle tavole di qualche monastero.

Il Novellino, raccolta di novelle toscane della fine del Duecento, racconta di una crostata di anguille finita male e di una gatta e di un topo:

Qui conta d’una buona femina ch’avea fatta una fine crostata.

Fue una buona femina, ch’avea fatta una fine crostata d’anguille, et aveala messa nella madia. Poco stante, vidde entrare uno topo per la finestrella, che traeva all’odore. Quella allettò la gatta e misela nella madia perché vi pigliasse entro, e turò la finestrella.

Il topo si nascose tra la farina e la gatta si mangiò la crostata e, quand’ella aperse, il topo ne saltò fuori e la gatta, perch’era satolla, non lo prese.