Peccaminosa anguilla

Peccaminosa anguilla

Quando racconto che cucino medievale la prima obiezione che mi viene fatta è che faccio solo piatti di carne; in realtà la vita dell’uomo medievale è scandita dall’alternarsi dei giorni di grasso e di magro: quasi la metà dell’anno è considerata “quaresimale” contando i vari giorni infrasettimali e le numerose festività. Erano di digiuno il mercoledì, giorno del tradimento di Giuda, venerdì, passione e morte di Cristo, e sabato, la vigilia delle feste, in Quaresima, in Avvento. In questi giorni la Chiesa proibiva (pena la dannazione eterna) categoricamente il consumo di ogni prodotto di origine animale, uova e formaggi compresi. Con il passare dei secoli le maglie si allargano e dopo il 1200 si cominciano a mangiare anche uova e latticini.

Il pesce non è catalogato come “carne” e, considerando che con questo termine si indicavano tutti gli animali che vivono nell’acqua (crostacei, molluschi, mammiferi), la questione risulta complicata. Le ragioni sono antiche, con valenze religiose e misteriche: nella religione cristiana delle origini, il termine greco ichthus (pesce) è l’acronimo del sintagma “Gesù Cristo, figlio di Dio, Salvatore“. I primi cristiani utilizzavano questo segno per riconoscersi fra loro e proteggersi nei periodi di persecuzione e nei testi evangelici l’acqua ha una forte connotazione simbolica. C’è poi una motivazione teologica, perché il pesce risulta escluso dalla maledizione divina seguita al peccato originale e si ritiene essere incapace di produrre istinti lussuriosi e violenti in chi se ne nutre. Va da sé che  diventi sinonimo di penitenza, cibo “inferiore” destinato agli ordini monastici: interessante notare che spesso, nei banchetti ufficiali, venisse trasformato e camuffato in portata di carne ottenendo così un effetto sorpresa tanto caro ai signori medievali. L’alimentazione monastica era regolata dalla Regola di San Benedetto, (540 d.C.) molto stringente, che prescriveva una ferrea dieta per lo più vegetariana, lasciando il pesce alle occasione speciali e rifiutando carne e spezie tipiche dei conviti signorili.

Il pesce più diffuso era quello d’acqua dolce perché più semplice da pescare e soprattutto da trasportare per la vicinanza delle città a fiumi e laghi. Si pescavano pagelli, carpe, trote, salmoni, lucci, lamprede e soprattutto le anguille. Questo pesce era amatissimo e ci sono storie molto divertenti raccontate dai novellieri su preti ghiottoni, tra i quali, il più alto in grado fu il papa Martino IV:

“…Purgo per digiuno l’anguille di Bolsena e la vernaccia”

Lapidario, Dante colloca  questo papa francese, nel Purgatorio a scontare il suo peccato di gola. È passato alla storia più per l’appetito che per l’impegno pastorale, in particolare per la sua passione per le anguille alla Vernaccia. Così racconta Iacopo della Lana nel 1324: “Fu molto vizioso della gola e per le altre ghiottonerie nel mangiare ch’elli usava, faceva tòrre l’anguille dal lago di Bolsena e quelle faceva annegare e morire nel vino alla vernaccia…”.Stando a questi racconti, faceva arrivare i pesci vivi direttamente a Roma dal lago di Bolsena e poi li  annegava nella Vernaccia direttamente nella sua camera.
Nell’800 lo scrittore Tommaseo cita anche un epitaffio che si diceva scolpito sulla tomba di Martino IV:
“Gaudent anguillae quod mortuus hic jacet ille qui, quasi morte reas, excoriabat eas” ossia” (Gioiscono le anguille perché giace qui morto colui che, quasi fossero colpevoli di morte, le scorticava)

Comunque sia, morì a Perugia nel 1285 e secondo l’umanista Landino la causa fu “grassezza ed indigestione di saporito pesce del lago di Bolsena cucinato e annaffiato con vernaccia.” Secondo un antico cerimoniale, la sua salma sarebbe stata lavata con vernaccia aromatizzata con erbe dal farmacista pontificio.

Il suo peccato di gola era doppiamente grave perché l’anguilla era una ghiottoneria proibita, dalla forma di serpente, simbolo del peccato originale. se avesse mangiato delle innocue sogliole, forse sarebbe già in Paradiso…

Il disegno è tratto da Lawrens Andrewe “The noble lyfe & nature of man, Of bestes, serpentys, fowles & fisshes y be moste knowen” originariamente stampato tra il 1400 e il 1550; ristampato in The Boke of Nurture by Frederick J. Furnivall nel 1894.