Bianco come lo zucchero

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“Il termine zucchero deriva attraverso il latino saccharum, dal sanscrito sarkara,(sabbia) evidentemente riferito all’aspetto con cui si presenta il prodotto, in cristalli più o meno grandi. E’ una sostanza dolcificante che si ricava dalla canna da zucchero, pianta di origine tropicale.” Come è arrivato in Europa questo preziosissimo ingrediente? Il generale macedone Nearco, descrivendo l’India, e siamo nel 312 a. C. racconta di un giunco che trasuda miele. Plinio nella Naturalis Historia parla di un saccaron, bianco come la gomma; ritiene che sia raccolto dalle rondini, grande come una nocciola, si usa solo in medicina.

“Saccaron et Arabia fert, sed laudatius India. est autem mel in harundinibus collectum, cummium modo candidum, dentibus fragile, amplissimum nucis abellanae magnitudine, ad medicinae tantum usum.”

Non sappiamo con esattezza di cosa stia parlando, forse di una qualche secrezione vegetale dolce. Di certo dall’VIII secolo in poi la coltivazione della canna da zucchero si diffuse in Egitto e poi, passando per l’Africa, raggiunse la Spagna e la Sicilia. “Al volgere dell’anno mille lo zucchero è ormai conosciuto in tutti i paesi europei affacciati sul Mediterraneo, e Venezia ne è già il maggior emporio commerciale in occidente.”

La sua produzione non era semplice e il prodotto finale risultava assai costoso: per questo motivo era utilizzato per usi farmaceutici, destinato ai malati e non ai cuochi che preferivano usare il più abbordabile e reperibile miele.

Dal Tacuinum Sanitatis (XI sec.):

Zucchero: di natura calda e umida, bianco e splendente, purifica il corpo e giova ai reni e alla vescica, ma dà sete e addensa la collera,va mangiato con melograno, più che maturo.

“Nell’Occidente medievale rientrava nella categoria merceologica delle spezie ed è naturale che ne condividesse tutti i significati e le implicazioni sociali e psicologiche: è un marcatore di censo , uno dei tanti mezzi per ostentare ricchezza, a cui la cucina di rango ricorre preferibilmente in alternativa al miele.” Nei ricettari medievali si trovano solo ricette che utilizzano lo zuccaro rosato, una specie di pasta malleabile ottenuta da un impasto di zucchero e petali di rosa rossa; se ne facevano tortelli e biscottini fritti.

La svolta avverrà con la scoperta dell’America: infatti dal 1500 si comincerà a coltivare la canna da zucchero nel Nuovo Mondo dove il clima era particolarmente favorevole. Grandi quantità di zucchero  a basso costo, arriveranno in Europa, soppiantando le piantagioni spagnole ed egiziani, diventando così un prodotto di largo impiego. Dal 1600 si comincia a produrre lo zucchero anche dalla barbabietola, con un costo inferiore. Sarà Napoleone ad incentivarne la produzione e il consumo.

In realtà bisognerebbe parlare non di zucchero, ma di zuccheri perché non era tutto uguale. Lo zucchero rottame o grezzo o cassonade era quello di più largo uso e il più economico, non era raffinato ed era scuro. Necessitava di chiarificazione per eliminare depositi e particelle estranee. Era venduto in cassette (cassonade) e al mercato si trovava a peso senza confezione. Quello fine e bianco era il più pregiato e costoso ed era utilizzato per glassare dolci e biscotti. Si vendeva in grandi pani bianchi piramidali. Come dice Costanzo Felici nel 1569,  “il zucchero non guasta mai menestra“, quindi lo si poteva spargere senza peccato su minestre, arrosti, insalate e così via… Più interessanti mi sembrano i lavori di zucchero, i cosiddetti trionfi, delle vere e proprie sculture che fungevano da centrotavola nei sontuosi banchetti dei signori dell’epoca. Anche artisti famosi, come il Giambologna a Firenze, non si sottrassero a questa pratica, disegnando modelli per piccole sculture e trionfi, realizzate poi dalle abilissime mani di artisti-pasticceri.

Sicuramente il più qualificato a parlare di zucchero nei primi anni del ‘600 è Giovanni del Turco, affermato musicista fiorentino, ma anche un grande amante della pasticceria. Seguiamo una sua dolcissima ricetta e prepariamo dei biscottini per il te.

Biscottini finissimi

375 gr. di farina e 350 gr. di zucchero, acqua di rose a necessità.

Mettere lo zucchero in una pentola antiaderente o con il fondo spesso con due cucchiai di acqua e far cuocere piano fino a raggiungere la temperatura di 115°, quando cioè il caramello comincia a “filare”. Questo stadio era detto a Manus Christi, oggi viene chiamato “della piccola bolla”. A questo punto si versa tutta la farina e, allontanando dal fuoco, si mescola energicamente per fare una pasta soda, senza grumi. Se troppo asciutta aggiungete dell’acqua di rose.

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Quando è tiepida se ne fa pastelli lunghi un braccio et grossi un dito…poi se ne fa pezzetti grossi quanto una castagna. Si mettono in una teglia imburrata e infarinata radi da uno all’altro et ritti…che come sentono il caldo si stiacciano et vengono informa di biscottino tondo.

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Maneggiateli finchè sono caldi, altrimenti la pasta indurisce ed è difficile da lavorare. Erano biscotti molto conosciuti: credo che siano estremamente rappresentativi di quel modo di pensare tipico rinascimentale, più zucchero c’è, meglio è!

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Una piccola variante ci permette di fare i pinochiati: sono dei dolcetti preziosi a base di pinoli che ricordano molto i torroncini. Una volta ricoperti di foglia d’oro, venivano serviti dal Rinascimento fino a tutto il ‘600 ad inizio banchetto.

Pinochiato

100 gr. di zucchero, qualche goccia di succo di limone, 1 albume, 90 gr. di pinoli

Stessa procedura: si prepara uno sciroppo a Manus Christi che si aggiungerà a filo all’albume con il limone montando molto bene. Poi si aggiungono i pinoli mescolando delicatamente senza smontare l’impasto.

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A questo punto andrebbero fatti dei biscottini da lasciar asciugare. Per accelerare i tempi ho pensato di farli asciugare in forno a calore basso, 100° per circa un’oretta. Risultano delle meringhette ai pinoli molto buone e ovviamente dolcissime.

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Le note storiche sono tratte da “La cucina medievale” di E. Carnevale Schianca