Un’altra torta bianca…

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“Plinio fa risalire alla fine della guerra macedonica (167 a.C.) l’attività a Roma dei primi fornai di professione; una discreta varietà di cereali consentiva la produzione di pane per tutte le tasche.” Dopo la crisi economica e le varie carestie dei III sec. d.C.  si cominciano a coltivare grani di qualità inferiore e “incomincia la fortunata carriera del miglio e del panico, ma soprattutto della segale”  che fino all’anno mille sarà il cereale più coltivato in tutta Europa.

Nei secoli successivi, a causa di carestie, il pane bianco di solo frumento era merce rara e destinato ai soli ricchi; per tutti gli altri, pani di svariati cereali, soprattutto orzo e segale, quindi pani scuri:

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“Pane bianco e pane nero costituiscono nel Medioevo i due poli di un marcatore sociale…è quindi agevole comprendere come, nella ritualità ostentatoria del banchetto, la qualità, la quantità e la freschezza del pane servito qualifichino il rango del convitato; nell’apparecchio della tavola, i panini tondi vengono allineati sul lato opposto a quello occupato dai commensali; il credenziere ha il compito di raschiare la crosta in modo che appaia bianco… di predisporre accanto ad ogni posata una conveniente quantità di pane tagliato a fette sottili o a bastoncini.”

Quello che avanzava, di certo non si buttava, ma serviva come addensante nelle minestre oppure come colorante per le salse, dopo averlo carbonizzato sul fuoco.

Un utilizzo un po’ particolare è quello che ci suggerisce lo Scappi ( Opera, 1570) che lo utilizza per fare una stupenda torta bianca di mollica di pane (il bianco andava per la maggiore…):

Taglisi libra una di mollica di pane bianca e pongasi a mollo in un bocale di latte di capra o di vacca, e facciasi bollire pian piano in esso latte con libra una di butiro fresco, e cotta che sarà, di modo che rimanga più presto soda, che molla, pongasi nel setaccio, e lascisi scolar il siero da se, poi passisi per il setaccio, e habbisi otto oncie di provatura ben pista, co una libra di ricotta fresca e una libra e mezzo di zuccaro, e mezz’oncia di gengevero et un poco di sale, e dodedi chiare d’ova, ovvero otto con il rosso e il chiaro, e d’essa compositione facciane torta…

Vietato buttare il pane raffermo; preparate invece questa torta, ideale per una cena estiva. Per le dosi, ho deciso di dimezzare; quindi:

Per la crosta:  400gr. di pasta frolla pronta        oppure                       pasta commune ad ogni torta a due spoglie

Per il ripieno: 150gr. di mollica di pane bianco         latte q.b.          100gr. burro            80gr. mozzarella     150gr. ricotta    180 gr. zucchero       4 uova intere    zenzero in polvere

Spezzettare il pane e metterlo in una pentola capiente coprendolo a filo di latte. Cuocere a fuoco basso basso finchè non è completamente disfatto e cremoso (eventualmente passatelo al mixer). Aggiungere il burro, la mozzarella tritata, lo zucchero e un pizzico di sale. Far raffreddare il tutto e solo a questo punto aggiungere lo zenzero, la ricotta e le uova.

Stendere la sfoglia in due cerchi; con il primo foderate una teglia imburrata o con carta forno di 24 cm. di diametro, versare il ripieno e ricoprire con il secondo cerchio. Cuocere in forno caldo a 170° per circa 45 minuti. Gli ultimo 10 minuti cuocere solo sotto perché il ripieno tende ad inumidire la pasta.

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E’ una torta particolarissima, per la presenza della provatura, formaggio fresco a base di latte di bufala, simile all’attuale mozzarella anche nella sua preparazione. Ho preferito usare il fiordilatte perché la mozzarella di bufala mi sembra abbia un sapore troppo deciso, comunque a voi la scelta. Stesso discorso per la crosta di base: la frolla si trova già pronta al supermercato; l’altra pasta segue una ricetta rinascimentale e quindi è più adatta e, secondo me, migliore al gusto perché meno ricca di burro (già ce n’è una tonnellata nel ripieno!) e poi le cose fatte a mano danno un’enorme soddisfazione…

Comunque la pensiate, la torta è buonissima, dal leggero profumo di zenzero e cremosa nel ripieno. Mangiatela fredda e, di questa stagione, meglio un riposino nel frigorifero. Servitela e poi, solo dopo, dite di cosa è fatta, altrimenti non so se troverete coraggiosi disposti all’assaggio!

 

 

 

 

 

 

 

 

Le note storiche sono tratte da La cucina medievale di E. Carnevale Schianca