La regina dell’estate

IMG_3945

La regina della frutta estiva è sicuramente la pesca; il termine deriva dal latino persica, cioè persiana, proprio perché si riteneva che questo frutto arrivasse dalla Persia.

“In realtà il pesco non è originario della Persia, ma vi è stato introdotto soltanto intorno al II sec. a. C. dalla Cina, dove la sua presenza è documentata almeno dal 1000 a.C….Plinio conferma la data di introduzione a Roma nel I sec. d.C.” Molte sono poi le leggende che fiorirono sull’origine del frutto: chi sostiene che fu portato in Egitto dal mitico Perseo, chi dice che gli Egiziani lo usassero per i condannati a morte, dato il suo alto tasso di velenosità. Comunque sia nel 1568 il medico senese Pietro Andrea Mattioli disegna un frutto che chiama persica che pesca non è, dimostrando che ancora allora c’era un po’ di confusione.

Tralasciando leggende e dicerie, sicuramente gli antichi frutticoltori romani sapevano già coltivarle e diversificarne le varietà già nel I sec. d.C. La loro fortuna perdura anche nel Medioevo, quando venne introdotto la varietà pescanoce dalla buccia liscia. Era un frutto raro e costoso e pochi potevano permetterselo. In una novella del Sacchetti (XCI) il cieco Minonna Brunelleschi conduce dei compari a rubare le pesche nell’orto di un tal Giogo Manfredi.

“aveva appostato il Minonna nella vigna di questo Giogo certi peschi carichi di bonissime pesche.ed una sera di notte ebbe due compagni, e disse: volete voi venir meco in tal luogo per le pesche?….in fine egli empierono il sacco.”

Alla mensa dei Priori di Firenze, dove non si badava a spese emergono registrazioni di acquisti a 300 ed anche 600 alla volta: sul mercato di Milano nel 1413, sono i frutti più costosi, ma di certo, Bianca Maria Sforza poteva permettersele, dal momento che ne era ghiottissima. Ma quando si mangiavano? Secondo la medicina medievale sono dure da digerire e servono a sigillare lo stomaco, quindi meglio consumarle a fine pasto, magari affettate e immerse nel vino, meglio cotte che crude. Per questo motivo molte sono le ricette che ricorrono su come chonfetare persiche, il cui risultato alla fine era una specie di marmellata molto molto dolce.

La ricetta che ho voluto provare oggi, invece, è una meravigliosa crostata: la ricetta è tratta da “Opera”,1570, di Bartolomeo Scappi, cuoco pontificio.

Torta di persiche

400 gr. di pasta per torte rinascimentali          3 belle pesche non troppo mature         100 gr. zucchero        80 gr. burro        cannella, chiodi di garofano, pepe, noci moscata, tutto in polvere      una manciata di uvetta     3 cucchiai di biscotti secchi in polvere

Stendere la pasta molto sottile e ricavarne ben sei cerchi di 22 cm, di diametro.

IMG_3929

Ungere una tortiera e sistemarvi dentro il primo cerchio, ungere con del burro fuso, secondo cerchio, burro fuso e terzo cerchio.

IMG_3930

A questo punto spolverizzare con i biscotti, le spezie e zucchero; aggiungere a raggiera le pesche a fette sottile e rifinire con l’uvetta.

IMG_3931

Chiudere con un cerchio di pasta, ungere di burro, spolverizzare di zucchero e cannella, secondo cerchio, altro burro, zucchero e cannella, terzo cerchio, stavolta solo burro.

IMG_3932

Si cuoce in forno caldo a 180° per circa 30 min. sena far scurire troppo la superfice (eventualmente coprire con alluminio). Quando è pronta, ancora calda si cosparge di zucchero, si fa un po’ intiepidire e si serve spruzzata di acqua di rose.

IMG_3940

E’ una torta profumatissima, un po’ laboriosa, ma non difficile. L’unico problema può essere dosare le spezie che dovranno essere troppo invadenti, quindi andateci piano! Le sfoglie dovranno essere piuttosto sottili per non appesantire troppo la crosta e ben imburrate per renderle più fragranti.

IMG_3942