Una torta ….bastarda

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Una torta dolce, dolcissima che più dolce non si può, dalla consistenza compatta e budinosa, con un nome un po’ inquietante: sto parlando della Tartera Bastarda, trovata nel ricettario di Suor Maria Vittoria del Verde priora a Perugia nel monastero di San Tommaso alla fine del ‘500.

Il suo taccuino è una raccolta di annotazioni sulla vita pratica del monastero inframezzate da ricette: il monastero è una microsocietà all’interno della quale si deve espletare tutta una serie di attività per un efficiente funzionamento della medesima: lavorare, cucinare, lavare, amministrare i beni, curare le malate, occuparsi dell’arredo liturgico, e così via.

Ho già provato un paio di ricette zuccherose della suora in questione (panmelato, calzoncini..) e devo dire che dal punto di vista glicemico sono in linea con l’usanza cinquecentesca, ma dall’altra parte sono dolcetti più originali e più semplici di quelli preparati dai coevi Scappi e Messisbugo. Probabilmente le finanze e le esigenze di un convento non erano quelle della corte Estense: si evidenzia un tipo di cucina notevolmente vario, una cucina non povera, ma semplice, non esasperatamente ricercata, ma non priva di lavorazioni più ricche: una cucina popolare, non chiusa ad influssi di altre regioni, non priva di lontani ascendenti medievali.

Per prepararla occorre prima di tutto una teghia suor Dionisia, una teglia di proprietà della consorella Dionisia che purtroppo non conosciamo… Poi gli ingredienti:

Tartera bastarda

4 uova          160 gr. miele fluido            30 gr. mandorle   qualche noce     250 gr. formaggio fresco             200gr. amido    30gr. arancia candita    acqua di rose, cannella e zucchero per decorare

Si scalda sul fuoco leggero il miele, a cui si aggiungeranno ricotta, canditi e frutta secca tritata e farina. Si mescola molto bene e si lascia intiepidire. A questo punto si aggiungono le uova sbattute e la farina. Versare in una teglia di 20-22 cm. di diametro e cuocere in forno caldo a 180° per circa mezz’ora.

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Si toglie dal forno si spolvera di cannella e zucchero. Prima di servire spruzzare abbondantemente di acqua di rose.

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Non deve asciugare troppo, perché la consistenza deve essere morbida. Ho usato dell’amido di mais che non è molto filologico, ma è quello che, secondo me, meglio sostituisce l’amydon di origine medievale. Al suo posto si può utilizzare della mollica fresca di pane bianco, come ci consiglia la stessa suor Maria. (Nella prima versione la torta è andata anche per i celiaci). Molto profumata, è migliore mangiata tiepida, da evitare di servirla il giorno dopo.

Sul nome non mi pronuncio, non ne ho la  più pallida idea….

 

 

Le note storiche sono tratte da Gola e preghiera di G. Casagrande.