Ravioli ignudi

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Pantaleone da Confienza era nato a Vercelli alla fine del ‘400; medico e archiatra ducale, accademico a Pavia e Torino, consigliere fidato di Ludovico di Savoia, in realtà è famoso per aver scritto una summa dell’arte casearia, la “Summa Lacticiniorum“, del 1459. Questo testo è una vera enciclopedia dei formaggi, non solo italiani, ma anche stranieri, che Pantaleone aveva avuto modo di conoscere nei suoi numerosi viaggi.

La prima sezione dell’opera si apre con la descrizione dei diversi tipi di latte spiegandone i benefici per il nutrimento dei bambini e tratta delle caratteristiche generali dei formaggi e del burro. La seconda sezione descrive in dettaglio le diverse tipologie dei formaggi italiani, inoltre i formaggi francesi, inglesi, tedeschi, bretoni e fiamminghi. La terza sezione prescrive il consumo di formaggio a seconda della costituzione, dell’età e dello stato di salute delle persone. L’ultimo capitolo consiglia infine i modi migliori per mangiare il formaggio, prima o dopo il pasto.

Racconta di aver conosciuto personaggi illustri che erano soliti consumare formaggi e di essere lui stesso un grande mangiatore:

reges, […] duces plurimos, comites, marchiones, barones, milites, nobiles, mercatores

I formaggi migliori, secondo lui sono quelli vaccini, in particolare quelli della zona padana e in particolare piemontese.

Pantaleone individua come migliori formaggi italiani il «marcelinus» ossia «marzolino» o «fiorentino» (così chiamato poiché «terretoriis Florentinorum in Tuscana et Romandiola componitur») e il «piacentino», detto anche «parmigiano»… anche nelle zone di Milano, di Pavia, di Novara e di Vercelli «da alcuni anni in qua» si è cominciato a produrne. Il primo è fatto col latte di pecora «licet aliqui etiam permiseant de vacino»; il secondo col latte di vacca

M. Montanari

Tra gli altri accenna indirettamente alla “recocta” quando parla del seracius, vanto della Valle d’Aosta e particolarmente della località di Nus, confezionato in grandi forme cubiche alte fino a due cubiti (poco più di mezzo metro), che si conservano perfettamente per un anno, e talvolta anche per due; la materia prima è costituita da una miscela di latte, siero fresco e siero acido che si portano ad ebollizione, raccogliendo poi le particelle grasse che si condensano, e “pressandole nella forma.”

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Quindi la ricotta non è un formaggio ma un sottoprodotto della sua lavorazione. Forse, proprio per questo motivo, non trova posto nei ricettari destinati alle tavole dei nobili; la si utilizza solo come succedaneo meno pregiato della giuncata. Probabilmente la si usava come ripieno generico per ravioli, sia quelli avvolti nella pasta, sia quelli “nudi“, quando nella ricetta si parlava semplicemente di formaggio fresco. Le polpettine così preparate potevano essere sia lessate che fritte, ed erano perfette per un pasto di magro.

Sono un esempio le ravaiolae tratte da un anonimo Liber Coquinarum Bonarum, scritto forse da un medico di Assisi  tra il 1430 e il 1439 e trascritto nel 1481 a Bergamo da un amanuense straburghese. Sono un’ennesima variante di gnocchi o ravioli bianchi che tanto piacevano nelle corti italiane; nel 1416 a Firenze per il banchetto nuziale di Antonio Castellani per preparare 60 taglieri di raviuoli servirono ben 200 uova, 60 chaci e 20 libbre di parmigiano (circa 70 kg)!

Oggi ho provato la versione fritta del medico assisiate e devo dire che non sono male…

Ravaiolae

300gr. ricotta         1 cucchiaio di parmigiano grattugiato     2 albumi grossi   farina q.b.   burro per friggere

Si impasta la ricotta con il parmigiano e gli albumi leggermente sbattuti, aggiungendo farina alla bisogna per ottenere un impasto non troppo molle.

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Si fa spumeggiare in padella del burro e si versa l’impasto a piccole cucchiaiate. Si mangiano caldi cosparsi di zucchero.

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L’idea fondamentale è che rimangano rigorosamente bianchi, il che non è facilissimo. La temperatura del burro non deve essere troppo alta e la cottura veloce. Raffreddandosi si induriscono e asciugano, meglio tiepidi. Ora, non vorrei dare idee poco medievali, ma intinti nel cioccolato sono veramente goduriosi….

Le note storiche sono tratte da “La cucina medievale” di E. Carnevale Schianca