Pasticcini in bianco
“Tra il XIV e il XV sec., lo zucchero bianco spunta gli stessi prezzi della cannella e costa… il 40% più del pepe: nessuna meraviglia, quindi, che si riveli un marcatore di censo, uno dei tanti mezzi per ostentare ricchezza, a cui la cucina di rango ricorre preferibilmente in alternativa al miele; usare lo zucchero come condimento è comunque un’occasione per fare bella figura.”
Questa tradizione (e convinzione) continua ed anzi aumenta nel 1600, chiamato proprio il secolo dello zucchero, quando lo si utilizza a piene mani su ogni pietanza. Il migliore è quello bianco, quindi lo zucchero grezzo deve essere “chiarificato”: “anche per gli usi medicinali, lo zucchero bianco, è ritenuto più efficace di quello grezzo, e bastano i processi artigianali di chiarificazione praticati da qualsiasi speziale o addirittura quelli domestici, a temperare le qualità naturali dello zucchero, che perde gradatamente calore e colore.”
Scartabellando nei miei manuali di cucina, non potevo che rivolgermi a “L’arte di ben cucinare” (Mantova, 1662) di Bartolomeo Stefani, cuoco al servizio del duca Carlo II Gonzaga. Il duca era uomo gaudente, amante dei piaceri della vita in senso lato; morì a soli 36 anni (forse avvelenato dalla moglie e dall’amante di lei) ma sicuramente ebbe modo di godere molto nel magnifico palazzo Ducale di Mantova, tra feste, donne e buon cibo.
Prepariamo allora dei pasticcini dolcissimi (anche troppo!) e proviamo ad immaginarci alla corte dei Gonzaga, magari come commensali al Banchetto ordinato per la maestà della regina Christina di Svecia dal Serenissimo di Mantova, del 27 novembre 1655.
Sono preparazioni molto semplici, buone e che richiedono una breve cottura in forno.
Biscottini alla savoiarda
Montare molto molto bene 3 tuorli, 2 albumi e 120gr. di zucchero.
Poi aggiungere 180gr di farina setacciata badando a non smontare il tutto. Si versa l’impasto negli stampini e si cuoce per una ventina di minuti a 180°. Si sformano e si fanno raffreddare.
L’albume rimasto serve per fargli sopra il ghiaccio cioè una glassa reale fatta con l’albume e circa 150gr. di zucchero.
Se poi invece di 1 albume ne usate 2, potete fare i Biscottini di zuccaro.
Si mescola con le fruste un albume con 150gr. di zucchero fino a che sarà ridotto a guisa di pasta, e quando sarà divenuto tenace, che assotigliato si tiri in longo senza rompersi, ne formarai su le carte bianche, fiori, frutti, biscottini, frondi e altre galanterie come ti piacerà, avvertendo che il forno serva quando havrà cotto altre pasticcierie, perché sono troppo delicati.
Data la mia scarsa manualità mi sono limitata a disegnare dei bottoncini di impasto. Sono delle meringhette che si cuociono a 100° per un quarto d’ora.
Finiamo in bellezza con un classico della pasticceria rinascimentale: i mostazzoli. Ogni cuoco ha la sua ricetta, come quella dei mostazzoli di Messisbugo. I dolcetti dello Stefani sono un po’ diversi, senza canditi, assomigliano alla pasta di mandorle, o per dirla alla maniera antica, marzapani.
Mostaccioli fini
Si scioglie su fuoco basso 75 gr. di zucchero in un mezzo bicchiere d’acqua; poi si aggiungono cannella, 100gr. di farina e 150 gr. di mandorle molto ben tritate. Si fa cuocere per qualche minuto fino a formare una palla (eventualmente aggiungete poca acqua tiepida).
Poi, una volta raffreddata, si fanno delle palline che cuociono in un quarto d’ora a forno caldo a 180°. Devono asciugare e diventare un po’ scrocchiarelle. Tra gli ingredienti c’è l’acqua di fiori di cedro che non sono riuscita a trovare. Sperando che lo Stefani non si rivolti nella tomba l’ho sostituita con l’acqua di fiori d’arancio.