Nei banchetti medievali, l’idea del digiuno rimane tale dal momento che anche in Quaresima le tavole erano ricchissime e piene di cibi diversi e appetibili. Forse la rinuncia alla carne pesava molto, ma l’alternativa era altrettanto gustosa ed ugualmente nutriente. Il pesce, travestito da carne, …
Durante i lunghi periodi di magro imposti dalla Chiesa, il pesce veniva consumato soprattutto lesso o arrostito allo spiedo come la carne. Si prestavano a queste cotture salmoni, lucci, tinche, pescecani(!) Per arricchire il piatto, un po’ troppo umile e semplice, si preparavano salse saporite …
Il pesce, carico di valori penitenziali, è simbolo di dieta quaresimale e soprattutto monastica. L’uomo medievale chiamava “pesce” qualunque animale che viva in acqua, quindi anche i mammiferi marini, come le balene o i delfini ma anche anche i castori e le oche o i pellicani.
Il pesce si consumava fresco, anche se il costo era molto elevato soprattutto nei paesi lontani dal mare. Non deve comunque stupire che i signori più ricchi potessero consumare pesce fresco anche in paesi a centinaia di chilometri dalla costa. Più a buon mercato, e quindi più diffuso, senza dubbio quello di acqua dolce.
Il denaro faceva arrivare in tavola pesci di ogni tipo: dalle trote alle anguille, molto amate, dalle seppie alle orate, ma anche testuggini e granchi.
I sistemi che assicuravano una maggiore conservazione del prodotto erano (e sono) la salatura e l’affumicatura: in questo modo anche il costo si abbassava ed il consumo era più diffuso. Nelle cucine il cuoco provetto, per allungare la conservazione faceva il pesce in gelatina oppure
“tali modo: accipitur salvia et petrosillum et minutim inciditur; et in aceto bene salso ponitur vel in mortario bene teritur et cum aceto distemperatur, in quo iam pisces predicti preservantur.”
cioè, dopo averlo cotto, si mette in aceto aromatizzato con salvia e prezzemolo.
Secondo il Tacuinum Sanitatis, “enciclopedia” medica del XI sec. il pesce fresco, di natura fredda e umida, è migliore se piccolo, duro, di squama sottile e giova a chi ingrossa di corpo, ma dà sete. Per rimediare basta mangiarlo con vino buono e uva passa.
Ecco la ricetta giusta tratta dal Tractatus, probabilmente la prima ricetta nella storia gastronomica dello “scapece“
2. — De scapeta piscium : ad scabetiam, recipe piscem bene lotum, sicut decet, et cum oleo habundanti frige. Postmodum infrigidatur. Deinde, cepas incisas per transversum frige in oleo remanenti. Postea, habeas uvas siccas, et frige cum cepis predictis simul, et oleum superfluum tollatur. Accipe ettiam electas species et safranum : tere bene simul cum amigdalis mondatis et distempera cum vino et aceto moderato posito, ne sit nimis acrum. Tunc misce simul cum aliis. Postea, pone super ignem quousque bulliat et statim depone. Et cum piscis in cissorio concauo ordinatus fuerit, saporem predictam sparge desuper. Quod si volueris ipsum acrum dulce facere, ponas mustum coctum vel zucaram competenter.”
Scapeta piscium (scapece medievale)
1kg pesciolini da frittura, farina q.b. olio per friggere 2dl vino bianco sale 1 cipolla 50gr uvetta 80gr mandorle tritate spezie forti olio E.V.O. 1dl aceto
Si infarinano i pesciolini e si friggono in olio bollente. Si scolano e si si passano su carta assorbente per togliere l’unto in eccesso. Intanto si soffrigge in poco olio la cipolla a fette sottili, uvetta e mandorle. Si stempera con aceto e vino bianco e si fa bollire per qualche minuto. Si spegne il fuoco e si aggiungono le spezie; si versa la salsa sui pesciolini fritti e si lascia raffreddare completamente in frigorifero. Ideali mangiati il giorno dopo. Per “addolcire” il tutto e rendere acrum dolcem (agro-dolce), unire una cucchiaiata di zucchero.
Dai ricettari medievali si evince che fosse un piatto da taverna, schibeza da tavernaio, molto salato e saporito, perfetto per essere abbondantemente innaffiato di vino. La qualità di quest’ultimo doveva essere piuttosto scarsa: sempre annacquato e mai di prima spremitura. Il termine infinocchiare, cioè imbrogliare, deriverebbe proprio direttamente dalle taverne medievali, dove, per confondere il palato degli avventori, si facevano mangiare piatti a base di semi di finocchio dal profumo molto intenso. Il vino che ne seguiva poteva essere anche di scarsa qualità dato che il palato era stato ben addomesticato dall’odore del finocchio!
Negli interminabili banchetti medievali, l’ultimo gruppo di portate che si consumavano seduti a tavola è chiamato “Issue de table“, “prima di lasciare la tavola”, ed è composto da dolci leggeri, frutta candita e formaggi. (L’usanza del formaggio a fine pasto è viva ancora oggi). Nel …