Se il maiale volasse…

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Se il maiale volasse, non ci saria danar che lo pagasse, diceva un tale…a me basta darvi un cenno delle così dette nozze del maiale, perché anche questo immondo animale fa ridere, ma solo come l’avaro, il giorno della sua morte. In Romagna le famiglie benestanti e i contadini lo macellano in casa, circostanza in cui si sciala più dell’usato e i ragazzi fanno baldoria. Questa è anche l’occasione opportuna per ricordarsi agli amici, a’ parenti, alle persone colle quali si abbia qualche dovere da compiere, imperocchè ad uno, per esempio, si mandano tre o quattro braciuole nella lombata, ad un altro un’ala di fegato, ad un terzo un piatto di buon migliaccio. Pellegrino Artusi, 1891

Dunque il migliaccio è un piatto prelibato che l’Artusi prepara con sangue di maiale, miele, cioccolato, mandorle e canditi. Ancora oggi si prepara in tutta la penisola da nord a sud, con minime varianti.

In realtà l’origine di questo piatto è diversa: la ricetta più antica risale ad un anonimo manoscritto fiorentino composto tra il 1339 e il 1339 e non prevede tra gli ingredienti il sangue di maiale, ma solo il lardo, da aggiungere ad un impasto lievitato di farina, uova e formaggio. Simili sono le ricette coeve, anche in versione alleggerita di uova o di formaggio, come il vinacio bianco dell’Anonimo meridionale.

Nel secolo successivo ricompare nel’Arte Coquinaria di Mastro Martino, un migliaccio che dovrà essere rigorosamente bianco, pena il licenziamento; per questo motivo si dovranno usare solo albumi e mollica di pane bianco. L’unica ricetta in cui si aggiunge del sangue la si ritrova in un manoscritto anonimo compilato a Padova alla fine del’400: si chiama migliazo negro dolce, ma non è affatto dolce, anzi è una sorta di frittata di sangue coagulato a cui si aggiunge mollica di pane e pezzetti di carne di maiale.

Nel ‘500 e nel ‘600 si torna indietro e si cucinano migliacci bianchi e super dolci alla maniera di Mastro Martino.

Confortata da queste estemporanee ricerche storico-culinarie, mi accingo a preparare due migliacci vegeteriani consigliati dall’Artusi, a base di farina gialla, quindi un’ulteriore variante di sostanza e colore. Sono due ricette simili: la prima è salata, la seconda dolce.

Migliaccio di farina gialla I

300gr. di farina gialla      una manciata di uvetta      sale    lardo bianco q.b.    rosmarino

Semplicemente unire alla farina acqua bollente in modo che in fondo al vaso non resti farina asciutta. Si fa un impasto consistente, non troppo liquido a cui si aggiunge un pizzicone di sale e l’uvetta. Prendere una teglia e sciogliervi a specchio del lardo, poi, senza allontanare dal fuoco, stendere l’impasto alto due dita e lasciare un paio di minuti a cuocere. A questo punto coprire con altre fette di lardo e rosmarino e finire di cuocere in forno caldo a 180° per 20 minuti.

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Migliaccio di farina gialla II

Questo piatto è più signorile del precedente.

300 gr. farina gialla      100gr. di uvetta       30 gr. pinoli      3 cucchiai di zucchero    burro per la teglia

Stesso procedimento come sopra. Non necessita il passaggio sul fuoco, ma direttamente in teglia imburrata e infarinata, quindi in forno a 180° per 20 minuti.

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Questa torta semplice mi ha ricordato l’infanzia, quando mia madre la preparava proprio così, chiamandola però Marocca, chissà poi perché….

Sono migliori mangiate calde, perché raffreddandosi tendono ad indurirsi. Non necessitano di una lunga cottura, ma piuttosto devono asciugarsi col calore del forno. Giusto a titolo informativo, ne “La scienza in cuicna” Artusi spiega anche la ricetta di un terzo migliaccio o castagnaccio, a base di farina di castagne, stessa ricetta, stessa cottura.