La torta dei folli

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Nel mondo simbolico medievale, il colore (degli abiti, degli stemmi, dei cibi…) è fondamentale e serve sostanzialmente a distinguere il ricco dal povero, il grasso dal magro, il liturgico dal diabolico. Cercare di capire oggi quel modo di pensare non è semplice perché noi siamo figli di Newton e dello spettrometria; colori contrastanti per noi, non lo erano per l’uomo medievale, il blu era considerato caldo e il viola era una variante del nero (subniger).

Tutti indossavano abiti colorati, ma il ricco si poteva permettere panni dai colori brillanti ed intensi, mentre il povero per lo più vestiva con colori slavati e stinti. Il giallo insieme al verde era il colore dei folli, diabolico e trasgressivo, mentre il rosso era molto utilizzato. Interessante invece il blu, che era disprezzato dai Romani perché considerato come il colore dei barbari, mentre intorno all’anno mille si diffonde moltissimo e diventa cristologico e mariano.

Per quanto riguarda la cucina, il cuoco medievale era attentissimo al colore di ciò che cucinava e poco importava se spesso i coloranti erano sostanze nocive alla salute, come il cinabro e il minio; “desta un tanto di compiaciuto stupore apprendere che, molto tempo prima che queste cognizioni trovassero il conforto della prova scientifica, qualcuno singolarmente scrupoloso come lo sconosciuto Maestro Andromachasso di Anonimo Padovano, così esprimesse la propria diffidenza: Biasmo tutti li colori, excepto li sandali, tre rasoni di more, cerese, marasche, fiori di radichio e di boragine, e oro e arzento fino: le altre sonno con pericolo.”

In tutti i ricettari ci sono indicazioni, anche molto precise, sulla tonalità da dare ad una torta o a un raviolo: il colore preferito è il giallo seguito dal bianco, mentre poco usato è l’azzurro. Utilizzati soprattutto per stupire, si usano soprattutto per le torte, le zuppe dense, le gelatine.

Anche l’Anonimo Meridionale (XIV sec.) descrive una bella torta colorata, ma quaresimale, senza uova o latte.

Se voy fare de quatragesima una torta che fosse de tre colore, sì tolli mandule dulci quatro libre per dece persone, et colale per si che sciano bene bianche, et macenale con aqua clara, et colale colla stamegna, et poy le fa bollire et fande ioncata sicomo dice quisto libro medesmo, et freda mictila in uno catino et mictice sale ad bono modo, et poy sÌ ne fa tri parti. Nella prima parte micti menta et petrosimili et maiurana, et pistale bene ad modo de salsa. Nella secunda parte scì micti saffarano presso de dui denari, et sia ben pisto. La terça parte scì voi e çuccharo bianco, et queste cose scì micti innellu testo, et ciascuna parte per si, ad ciò che la torta non agia sendò una crosta, et se fosse bene cocta, magnane.

Non potendo utilizzare prodotti di origine animale, si ripiega sul solito latte di mandorle in forma di giuncata, cioè rappreso. Per distinguere i colori si utilizzavano i regholi  o una croce de legno, asticelle appunto, di legno da poggiare sulla crosta, in modo da non mescolare le varie farce colorate, in numero di tre o quattro.

Passiamo alla ricetta:

300gr. di pasta briseè               mezzo litro di latte di mandorle                 tre cucchiai rasi di  fecola di patate               menta, prezzemolo, maggiorana  zafferano                                          zucchero (facoltativo)

Si fa addensare il latte con la fecola su fuoco basso. Per evitare grumi, mettete prima la fecola, poi stemperate con il liquido lentamente, sempre mescolando. Cuocere finchè non sia addensato. Le erbette mettetele in infusione in poca acqua calda per un’oretta, poi strizzate bene e filtrate il liquido ottenuto. Ora la questione è la seguente: senza zucchero la torta sarà anche bella, ma sa di poco. Quindi ho deciso di zuccherare tutta la crema, dividerla in tre parti e colorarla, una parte di verde (con il liquido di cui sopra), una parte di giallo con lo zafferano e una parte bianca.

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Stendere la briseè e tirare con la punta di un coltello le  linee di tre spicchi; (per comodità fare delle striscioline di pasta per delimitare gli spicchi)

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Farcite e infornate a 180° per una ventina di minuti, dando calore solo dal basso per gli ultimi 10 min.

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Non è una torta particolarmente ispirata, dal sapore decisamente quaresimale, ma sicuramente emblematica di un certo modo di pensare, tipico medievale. Ho usato una pasta briseè al posto di una tristissima pasta all’olio anche se, per la presenza di burro, non poteva comparire sulle tavole di digiuno del 1300.

Per dare un colore più deciso si potrebbero utilizzare coloranti alimentari, ma non sono proprio medievali….