La bevanda degli dei

La bevanda degli dei

Era dalle bianche braccia sorrise e sorridendo prese dalle mani del figlio la coppa; dal cratere egli attingeva il nettare dolce e lo versava anche agli altri dei…Per tutto il giorno, fino al tramonto del sole, mangiarono, e per tutti vi fu la giusta porzione di cibo, e il suono della cetra di Apollo, meravigliosa, e il canto delle Muse che alternavano le voci bellissime.

Iliade, I libro

Gli dei non mangiano pane e nemmeno carne; per essere immortali si nutrono solo di nettare e ambrosia, cibi misteriosi di cui nulla si sa. Come suggestione personale, posso dire che a me ricordano qualcosa di dolce, di morbido e vellutato. Oltre ad essere il cibo divino, con l’ambrosia si ungevano i corpi degli dei per renderli immortali:

L’ambrosia e il nettare hanno il potere di modificare profondamente la natura di chi li assume. Tutto viene tramutato nel corpo che entra a contatto con la bevanda divina: il profumo, la bellezza, la potenza divina. L’immortale non ha più sangue nelle vene, ma icore, una sostanza biancastra velenosa per i mortali.

Il passaggio tra ambrosia/nettare e idromele avviene attraverso il miele, alimento altamente simbolico: Pitagora mangia solo miele, Platone viene nutrito alla nascita dalle api, nel paese di Cuccagna dell’antichità classica scorrono fiumi di latte e miele, Zeus fa ubriacare il padre Cronos con il miele (fermentato)... Inoltre il miele, unito al pane, è un passaggio tra il mondo dei mortali e quello degli dei inferi (Enea nell’Eneide) ai quali si fanno offerte di cibo e miele.

Nelle Dionisiache, lungo poema epico del V secolo, scritto da Nonno di Panopoli, si racconta l’impresa di Dioniso alla conquista vittoriosa dell’India. Attorno alla vicenda principale, ci sono però anche una miriade di altri miti, come le nozze di Cadmo e Armonia, e furiose battaglie, fondazioni di città, amori e assassinii. Tra l’altro si racconta anche di una disputa tra Dioniso e Aristeo (mitico inventore dell’apicoltura) davanti ad Eros giudice per decidere quale sia la bevanda migliore, tra vino ed idromele. Alla fine risulterà vincitore Dioniso: il vino è migliore, più dolce e di esso non si può fare a meno.

L’idromele avrà comunque una gran fortuna e diffusione nel mondo antico in tutto il mediterraneo: si beve in Grecia, si beve a Roma, anche nella versione non fermentata che prende il nome di mulsum.

Lo si ritrova nel mondo celtico/germanico con valenze rituali e magiche fino al Medioevo e oltre. Lo citano persino Shakespeare e Chaucer.

Le ricette sono molte a partire da Columella nel De agri cultura del I se. d. C., passando per il Menagier de Paris della fine del ‘300, poi ricette del ‘500 e ‘600 fino al ‘900 dimostrando una continuità di interesse per questo vino antico e misterioso.

Non ho una ricetta da segnalarvi; in rete ne trovate molte, ma, sebbene gli ingredienti siano solo tre (acqua-miele-lievito) la preparazione non è affatto semplice, ma piuttosto lunga e laboriosa. Dopo la bollitura è prevista una fermentazione di almeno un mese e poi una maturazione di almeno sei mesi.

..nel novecento l’idromele è stato riscoperto in una forma che poco corrisponde alla realtà…considerato una bevanda lontana e misteriosa, legata al passato…una bevanda strana, antica, da ricostruire in modo spesso fantasioso, nella totale dimenticanza del fatto che per molti secoli la sua produzione e il suo consumo hanno rappresentato attività del tutto quotidiane e domestiche.

Marco Gavio de Rubeis, Idromele Anna Ferrari, La cucina degli dei