Fondue medievale

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Come diceva Mastro Martino nel XIV sec., alla fine del pranzo la bocca deve sapere di formaggio, quindi, prima di lasciare la tavola, come ultima pietanza spesso compariva il formaggio.

La storia dell’attività casearia comincia molto presto, quando l’uomo primitivo comincia a dedicarsi all’allevamento. Intorno al 2000 a.C. fino a circa il 900 a.C., le tecniche casearie mostrano un discreto livello, ma solo con l’età del  Ferro si può cominciare a parlare di produzione casearia.

E’ probabilmente in questo periodo che si inventa la tecnica per rendere conservabile lo stracchino che si deteriorava facilmente: si aggiungeva al latte della muffa raschiata dal pane di segale ottenendo l’effetto di asciugarlo della parte acquosa, di aumentarne l’apporto proteico e di evitarne l’aggressione di bacilli. E’ il formaggio definito dai latini generalmente gallicus, cioè delle Gallie  ed evidentemente tipico della casearia celtica: Plinio in particolare dice che

“il formaggio delle Gallie ha il sapore e la forza di una medicina”.

Il Gallicus é il capostipite dei formaggi erborinati, come la gorgonzola in Italia e il Roquefort in Francia.

Nell’Historia Augusta, una raccolta di biografie di imperatori scritta nel IV sec d.C., si parla di una famiglia di formaggi delle Alpi  occidentali definita genericamente “alpinus“; erano probabilmente simili alla moderna fontina, formaggio stagionato d’alpeggio a prevalenza di latte vaccino, di  buona conservazione, originalmente cagliato con erbe  montane aromatiche.

Un altro formaggio antico è la robiola fatto con latte per lo più caprovino, vaccino o misto; veniva ricoperto da una crosta rossiccia (in latino rubeola) da cui deriva il nome. Plinio il Vecchio vanta la qualità del pecorino di Ceva, in provincia di Cuneo, che considera il  migliore dell’Italia settentrionale; elogia  anche un formaggio definito lunensis, cioè di Luni, che arrivava a pesare, per ogni forma, fino a 300 kg.! A questo elenco vanno aggiunti i pecorini tipici, il parmigiano, il Brie francese e varie formagelle fresche.

Nel Medioevo, quindi c’erano molti formaggi a disposizione dei cuochi, che lo utilizzavano moltissimo soprattutto grattugiato, negli impasti delle torte salate, con verdure e carni ma in realtà la dietetica medievale aveva forti perplessità a rigurdo:

… nei confronti del formaggio la cultura medievale (come già quella antica) nutriva forti perplessità. I misteriosi meccanismi della coagulazione e della fermentazione erano visti con qualche sospetto dalla scienza medica, e i trattati di dietetica invariabilmente mostravano diffidenza verso il formaggio, sconsigliandone il consumo o ponendovi dei forti limiti, qualitativi e quantitativi. «Caseus est sanus quem dat avara manus»

Massimo Montanari

Con il passare dei secoli il formaggio vivrà un vero rilancio e comincerà ad essere apprezzato anche come alimento a sè, trovandosi sempre più spesso sulle tavole signorili. Spesso non ci sono indicazioni sul nome, ma si parla di caseus pinguis o siccus. Questa distinzione è rimasta valida anche nei secoli successi, visto che ancora nel 1556, Iacobus Bifrons, nella Epistola de caseis et operibus lactariis et modo quo in Rhæticis regionibus et alpibus parantur, indirizzata all’erudito svizzero Conrad Gessner per raccontargli della preparazione dei formaggi sulle Alpi, scrive:

Genera caseorum apud nos duo sunt, unum macri, qui caseus domesticus dicitur, si quidem is domi et in alpibus conficitur, cuius usus apud nos memoria hominum duravit. …alterum genus, caseus pinguis vocatur, cuius usus à triginta annis in regione nostra ab Italia traductus est. Caseus, autem pinguis, in tugurijs alpinis duntaxat conficitur, ubi maior numerus vaccarum est.

Quindi ci sono due tipi di formaggio: uno magro che è chiamato domestico perchè si fa in casa, ed uno grasso che viene fatto nei tuguri alpini cioè negli alpeggi estivi, dove c’è un gran numero di vacche.

Non possiamo dimenticare infine l’uso di condire la pasta con il formaggio grattugiato in un’epoca in cui ancora non era arrivato il pomodoro:

Al Parmigiano, con ogni probabilità, allude già Salimbene da Parma nella sua Cronaca (XIII secolo), quando descrive frate Giovanni da Ravenna come gran mangiatore di lasagne al formaggio: «Numquam vidi hominem, qui ita libenter lagana cum caseo comederet sicut ipse». E Boccaccio, come è ampiamente noto, si sofferma a descrivere come una delle attrattive principali dell’utopico Paese di Bengodi la «montagna tutta di formaggio Parmigiano grattugiato, sopra la quale stavan genti che niuna altra cosa facevan, che fare maccheroni e raviuoli e cuocergli in brodo di capponi».

Massimo Montanari

Dal Tractatus trecentesco, un’interessante ricetta di una fondue medievale, secondo la tradizione alpina:

Dequoque caseum frustratim incisum in patella cum aqua et vino
per horam modicam. Quo remoto, impone interiora ovorum integra in
predicta decoctione fervida ut indurantur. Post, tere petrosillum et
salviam cum pipere, zinzibero et canela, et distempera predicta decoctione.
Cui bullienti, iterum impone ova et caseum, et comeduntur cum
salsa viridi.

Fonduta al formaggio

400 gr  fontina       250gr latte      1 bicchiere di vino bianco     4 tuorli        50 gr burro   prezzemolo e salvia tritate      pepe-zenzero-cannella    sale q.b.

Tagliare la fontina a fette che metterete a bagno per almeno 2 ore in una pentola con il latte; a questo punto mettere su fuoco bassissimo la pentola con il burro e il vino, mescolando in continuazione finchè il formaggio non sia completamente fuso. Aggiungere quindi le spezie e i tuorli uno alla volta e continuate a cuocere mescolando per una ventina di minuti. (Occhio che tende ad impazzire!) a fine cottura spolverizzate di salvia e prezzemolo. Mangiare caldissimo.

La fontina che ho scelto è un buon Fontal nazionale, perchè la classica fontina valdostana, a mio parere è troppo “tipica” e seppur molto buona, caratterizza troppo un piatto che deve essere solo medievale. Ottima fonduta servita con crostini di pane tostato, ben imburrati.

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