Come ti cucino un pollo

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“Il pollo, maschio o femmina, nei suoi vari stadi di pollastro, gallo, cappone, figura tra le carni più consumate nel Medioevo.” Era una carne povera, disponibile anche per le fasce più basse, di facile allevamento; gli animali erano nutriti con ciò che cadeva dalla tavola dei loro padroni e non c’era bisogno di particolari competenze. Fanno eccezione, ovviamente, quegli animali destinati ai banchetti dei signori: infatti, venivano nutriti con frumento o orzo cotto e tenuti in locali ampi, ma bui. Vi risparmio la tecnica con cui erano macellati; vi basti sapere che dovevano soffrire molto perché così, liberandosi istamina, i tessuti risultavano più morbidi e le carni più tenere. In un periodo storico dove anche la vita umana non aveva molto valore, non credo abbia senso chiedersi se sia giusto o sbagliato far soffrire un pollo…

Comunque, alleggeriamo lo spirito e prepariamo delle torte a base di carne. Ci sono moltissime ricette nei vari testi medievali, tutte molto simili fra loro. Queste sono dell’Anonimo Meridionale del XIV secolo:

Se voy fare torta de pollastri, se po fare in quatro modi. Tollili et smembrali et soffrigili in lardo et abi carne de spalla lessa battuta molto bene et bono cascio con essa et bone spetie finissime et ova quelle che te bisogna, et mescola li pollastri et queste cose insemi, et fa la torta, et ungila desopra et ruscia de ova con saffarano, et tucte le cose se voi no dabelli sale.

Se voy fare torta in altro modo, toy li pollastri et soffrigili. Quando sondo soffricti, mictili in uno catino et mictice suso delle spetie et finissime, et habi cascio frisco et ova poche con esso et petrosimuli et menta, battuti con coltello, et mescola queste cose insemi con pollastri, et mictice lardo là dove sondo soffricti li polastri, et guarda che non ve annasse l’acqua che sta desocto el lardo, et non ce mectere saffarana.

Se voy fare torta in altro modo, tolli pollastri fin a mezi cocti, et quando so soffricti, poy li tra in uno catino et mictice suso del bone spetie, et fa che abi caso bene frisco, ben pisto, el plu che se po fare, et mictice ova con ipsi petrosimuli et menta bactuta con coltello et altre bone herbe, le quali se chiamano maiurana, et mescola queste cose insemi colli pollastri, et mictice lardo là dove sondo cocti li pollastri et guarda che non in trasse l’acqua che sta da fora al lardo, né saffarano non ce mectere.

Dunque, come dicevo, sono molto simili fra loro: si fanno soffriggere i pezzi di pollo (petto, coscia)nel lardo, si aggiunge formaggio fresco, spezie, uova. Nella prima si unisce solo lo zafferano, nelle altre due prezzemolo, menta e maggiorana ed altre erbe non meglio precisate. Questo composto, immagino non troppo fine, serviva per farcire due croste di pasta comune, di sola acqua, farina e sale, poi si cuoceva sul camino o nel forno.

Per le dosi, considerate circa 500gr. di pasta comune all’olio, 300gr. di petto di pollo a pezzetti soffritto in 100gr. di lardo bianco, 3 uova intere, 150 gr. ricotta, sale, spezie fini e erbette varie. Cuocere in forno caldo a 180° per circa mezz’ora, o poco più.

Resta da ricordare la celeberrima torta lavagnese, decisamente più originale, ma forse un po’ meno adatta ai nostri palati: alla carne vengono infatti aggiunti datteri, uvetta, chiodi di garofano e noce moscata, senza uova e formaggio. Il nome deriva forse dalla città ligure di Lavagna o forse, come sostiene Rebora, “celebri l’ascesa al soglio pontificio di Sinibaldo Fieschi (Innocenzo IV) dei conti di Lavagna nel 1243 o che a Lavagna sia stata intitolata una torta servita a Genova nel giorno delle nozze del nipote del papa, o servita a Napoli in occasione della visita di Innocenzo IV.”

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www.godecookery.it Forno portatile

 

Piccola digressione storica: i forni sono monopolio del signore di turno. Solo nel Basso Medioevo si diffonde l’uso di forni privati (furni) che erano gestiti dal pasticcere e panificatore di casa, a cui era demandata spesso anche la responsabilità di cuocere torte e pasticci che uscivano dalla cucina. C’erano poi dei piccoli forni portatili, chiamati clibani  la cui forma derivava addirittura dagli antichi forni egiziani a forma tronco-conica, passando per il klibanos dei Greci. I termini sono ricordati nel Dictionarius del Magister Johannis de Garlandia (nato in Inghilterra nel 1180 ca. e morto dopo il 1250), dove c’è anche un interessante elenco di stoviglie utili alla perfetta massaia del XII secolo: scutellae, cacabos per i bolliti, patellas e sartagines per le carni e i soffritti, mortarias per tritare, scaphas piccole tinozze utili anche al lavaggio dei bambini, e vari acetabula dove servire le varie salse, dal termine acetum.

Prendete nota se dovete rinnovare la cucina…