Cassata siciliana (o forse no…)

Cassata siciliana (o forse no…)

Puoi usare un armadio con il gelo, se il tuo padrone ne ha uno. Metti la cassata su di un vassoio, quindi metti sopra del formaggio mescolato. Decora con noci, datteri, fichi secchi.

Potui impendere armarium cum gelus, si dominus tuus habet illu. Super patellam cassatae poni, indi velu casus rectum misceatum super dulcis poni. Decoras cum noxis, dactylis, ficus vietum.»

Che sia questa la ricetta della cassata siciliana? Questo anonimo cuoco, un po’ sgrammaticato, ha forse voluto lasciare scritta la ricetta di un dolce amato dal proprio padrone? Se così fosse l’origine di questa famosissima torta tradizionale siciliana sarebbe da ricercare nell’Antica Roma, più precisamente a Pompei. E’ lì, infatti, che fu trovato un papiro con poche righe in cui sono descritti gli ingredienti e le modalità di realizzazione di una prelibatezza che somiglia molto al suddetto dolce. Ne era convinta la studiosa Eugenia Salza Prina Ricotti che per prima ne fece una traduzione e una “modernizzazione“.

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A rafforzare l’ipotesi c’è pure un altro indizio: il famosissimo affresco della villa pompeiana detta di Oplontis. (Il nome Oplontis è attestato unicamente nella Tabula Peutingeriana, copia medioevale di un’antica mappa delle strade italiane dell’Impero Romano, in cui si trova il toponimo Oplontis.)

La villa fu attribuita alla seconda moglie di Nerone, Poppea Sabina. L’edificio venne travolto dall’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. : probabilmente in quel momento era in ristrutturazione poichè non sono stati rinvenuti arredi interni, ma doveva essere una dimora splendida, la tipica villa suburbana dedicata all’otium, molto grande, con giardini e un quartiere termale. Magnifici affreschi, ancora visibili, decoravano le pareti, il rosso pompeiano la fa da padrone insieme a scena bucoliche e paesaggi e città ed anche la famosa cassata!

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La ricetta sembrerebbe proprio coincidere: formaggio di pecora, frutta secca, miele, tutti elementi che erano presenti in Sicilia dall’IX sec. quando nell’isola arrivarono gli Arabi che portarono con sè la coltivazione della canna da zucchero, degli agrumi mentre incrementarono la coltivazione della mandorla.

Secondo la tradizione, una notte un pastore decise di mescolare la ricotta di pecora con lo zucchero o il miele. E chiamò questo dolce “quas’at” (“bacinella”), dal nome della ciotola in cui era contenuto l’impasto. Successivamente, alla corte palermitana dell’emiro in piazza Kalsa, i cuochi decisero di avvolgere l’impasto in una sfoglia di pasta frolla, da cuocere poi in forno. Nacque così la cassata al forno, la più antica delle versioni di questo dolce.

da “La cucina italiana”

Di torte in crosta ripiene di formaggio sono pieni i ricettari medievali di mezza Europa, quindi nulla di strano. Ma ad un certo punto della storia, in Sicilia si aggiungono frutti canditi e soprattutto la famosa pasta martorana, cioè la pasta di mandorle. Di nuovo la tradizione ci informa che l’invenzione è da attribuire alle suore del convento di Martorana a Palermo, ma la prima attestazione del termine cassata si trova nel nel Declarus di Angelo Sinesio (1305-1386) il quale definiva la cassata come “cibo composto da pasta di pane e formaggio”.

Nel Settecento arriva il pan di spagna a sostituire la frolla e quindi dal forno si passa al frigorifero; si aggiungono il cioccolato e la glassa opaca di zucchero. L’ultimo atto della storia è il 1873, quando il pasticcere palermitano Salvatore Gulì codifica la ricetta che è quella arrivata intatta sulle nostre tavole oggi.

La cassata è la torta delle feste pasquali sin dal 1575 quando venne proclamata ufficialmente dal sinodo della diocesi di Mazara del Vallo ed era preparata dalle suore nei conventi.

Ecco la ricetta pompeiana:

(LA)«Mitte tres unce praecoquis, tres unce pruni, et tres unce uve vietum. Fructi siccus sminuti cum media luna cultellus aut solitus cultellus, si optas pro plus magnum fragmentis. Coxi in melis tres unce nuxis et duus unce pineolusi, quoad duru factu est. Bada nun scottaribus digitam, quod meli tantus caldus est. Dulcis duru rectum refrigera inde frangi illu in exiguis fragmentum. Miscea multus tres libras caseo ovini quod mollis facta est. Indi addici media libra meli et pianus pianus miscea cum casu. Dulcis duru fragmentatus addici et rectum miscea omnis. Farina amygdalis miscea cum meli et coccinigliam pulvis. Coperire bordus pentolae cum cunfectus amygdale et in centrum poni compositus casu et poni in locus frigidus ad rectus tempus. Potui impendere armarium cum gelus, si dominus tuus habet illu. Super patellam cassatae poni, indi velu casus rectum misceatum super dulcis poni. Decoras cum noxis, dactylis, ficus vietum.»(IT)«Prendi tre once di albicocche di prugne e di uva passa. Sminuzza i frutti secchi o con un coltello a mezza luna o con un coltello normale a seconda se vuoi pezzi più o meno sbriciolati. Cuoci nel miele tre once di noci e due once di pinoli, finché diventa duro, stai attento a non scottarti le dita perché il miele è tanto caldo. Raffredda il dolce duro ottenuto e poi sminuzzalo in pezzetti piccoli. Mescola a lungo tre libbre di formaggio di ovino finché diventa morbido. Quindi amalgama lentamente mezza libbra di miele. Aggiungi il dolce duro sminuzzato e mescola il tutto. Mescola farina di mandorle con miele e polvere di cocciniglia. Copri il bordo di una pentola con questo confetto di mandorle e metti nel centro il composto con il formaggio e fai riposare in un luogo fresco per un tempo adeguato. Puoi usare anche una dispensa con ghiaccio, se il tuo padrone ne possiede una. Poggia la cassata su un piatto da portata e coprila con un velo di formaggio ben mescolato. Decora con noci, datteri e fichi secchi.»