A empiere una gallina

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Passiamo al piatto forte cioè l’arrosto; vi propongo la ricetta della gallina ripiena, la solita gallina ripiena che veniva prima lessata e poi cotta allo spiedo. Ovviamente il passaggio della lessatura si salta, perchè superfluo.

Pelata che fie la gallina, scorticala cruda; e de la carne sua e carne di porco senza osso, bene battuta, e spezie e ova e lardo chiaro, cioè strutto, mesedati insieme, empi il cuoio della detta gallina; e ne l’acqua bogliente de la caldara si stringa: poi l’arrosti nello spiedo; e guarda che non crepi. E in tal modo puoi fare d’altri uccelli.

Ho pensato di modificare la ricetta per renderla più semplice, mantenendo però una caratteristica “medievale”:

1 petto di pollo da circa 400gr.      300gr macinato magro di maiale          2 uova grosse              1 salsiccia fresca          spezie forti    sale  olio EVO   vino bianco

Appiattire col batticarne il petto di pollo. Mescolare insieme gli altri ingredienti e riempire la carne formando una specie di tasca ripiegando su di sè il pollo. Legare con dello spago. Mettere a cuocere in casseruola con olio su fuoco alto per alcuni minuti rigirando spesso. Quando è ben rosolato sfumare con un bicchiere di vino bianco secco, abbassare la fiamma e continuare a cuocere lentamente per almeno 40 minuti aggiungendo brodo a necessità.

L’arrosto veniva servito con varie salse; quelle tradizionali, molto apprezzate, erano camelina, verde e piperata, di cui esistono varie ricette molto simili fra loro. Più interessante è questa salsa che utilizza il basilico, erba poco usata; nel Liber de Coquina c’è una sola ricettina veloce per una salsa al basilico che fa da accompagnamento al cinghiale arrosto.

Pesta il basilico nel mortaio e ponvi del pepe e distempera con l’agresta. Questo savore è buono con ogni arrosto e ova lesse: e mancando questo, abbi melarance, citrangole o limoni.

Si pesta al mortaio (o al mixer) basilico, pepe e agresto, o, in mancanza di questo, succo di limone. Aggiustare di sale. Ottima servita con arrosti, ma anche con uova sode.

La ricetta si completa con l’indicazione di questa tecnica di cottura che mi ha ricordato i fagioli al fiasco fiorentini:

Altramente. Scortica la gallina, come detto è, la cui carne si coca
con le spezie. Poi prendi uno vaso di terra, fatto in modo di cardafisia,
cioè d’inguastara o di fiasco; metti il detto cuoio nell’acqua
nel detto vaso, ritenendo il collo del detto cuoio di fuore del vaso;
poi empi il detto cuoio de la detta empitura: poi ligato il detto collo
e messovi un poco d’acqua, metti a cocere. E quando sirà cotto,
rompi il vaso e da’ a mangiare.

Il termine cardafisia o inguastara, secondo l’indicazione di Francesco Zambrini che pubblicò per la prima volta il testo a Bologna nel 1863, è “vocabolo di antichissima origine che vale caraffa…non registrasi in verun lessico questo vocabolo.”

La pelle della gallina veniva infilata in un vaso di coccio allungato con l’apertura abbastanza larga da inserire il ripieno. Veniva poi chiuso e fatto bollire a bagnomaria in acqua. Quando veniva portato in tavola, si doveva rompere il vaso.