Placenta romana

Bartolomeo Sacchi nacque a Piadena, in provincia di Cremona, nel 1421. Fu  precettore dei figli di Ludovico Gonzaga a Mantova e poi, recatosi a Firenze, strinse amicizia con i più importanti umanisti del tempo come Poggio Bracciolini, Marsilio Ficino, Leon Battista Alberti e Pico della Mirandola. Grande amante e studioso delle lettere classiche  (prese il soprannome di Platina)  il suo lavoro più famoso e conosciuto è un breve trattato di gastronomia  il “De honesta voluptate et valetudine”  stampato una prima volta a Roma tra il 1473 e il 1475: in quest’opera trascrive in latino tutte le ricette di Mastro Martino da Como, da lui considerato il più grande cuoco di tutti i tempi, ma anche prescrizioni “sanitarie” di igiene per una vita sana. La cucina è un onesto piacere (voluptas) e dà salute (valetudo): considerando il fatto che questo libro ha cinque secoli non si può rimanere stupiti della modernità della concezione del cibo espressa dal Platina. D’altra parte bisogna anche dire che le ricette non sono propriamente rinascimentali, ma piuttosto legate ad una tradizione medievale. La scrittura latina non è un passo indietro, come si sarebbe portati a pensare, ma solo il desiderio di far conoscere ad un pubblico colto e più vasto le ricette di Mastro Martino.

Tra le varie ricette di derivazione classica, ho scelto due versioni della cosiddetta placenta, nome curioso per indicare una semplice preparazione che ricorda una focaccia: quella più antica è ricordata da Catone nel De agri cultura (76) e quella più moderna è proprio citata dal Platina.

La placenta, dolce descritto da Catone nel I secolo d.C., apparteneva di certo alla tradizione classica, ma passando attraverso i mercanti etruschi che commerciavano con la Grecia, arrivò fin sulle tavole della famiglie nobili romane. Molti piatti sono arrivati attraverso i secoli fino al Medioevo e, talvolta rivisitati o “aggiornati”, fino ai nostri giorni, perchè noi siamo figli dei nostri padri e in cucina, nulla si inventa, ma semmai si trasforma e si arricchisce.

Cominciamo dal 160 a.C. per cucinare una torta a strati con miele e caprino:

Placenta

200 gr. farina di farro   acqua e sale q.b.

200 gr. di miele e 200 gr. di formaggio caprino morbido

Con acqua e farina si prepara una pasta morbida da poter stendere in dischi sottili, avendo l’accortezza di farne uno un po’ più grande che servirà per “incartarli” tutti quanti.

si sovrappongono 5 o 6 frapponendo miele e formaggio.

Con il foglio più grande si ricopre tutto quanto e si mette in forno caldo a 180 ° per 30 minuti. Servire cospargendo di miele tiepido.

La versione cinquecentesca è invece molto semplicemente una focaccia:

Placenta platinenense

200 gr. farina, acqua e sale a necessità, 80 gr. lardo a dadini oppure olio EVO, semi di finocchio per decorare

Si impasta il tutto per fare una pasta soda e si fa una orbicularem formam, forma circolare, si aggiungono i semini di finocchio e si inforna a 200° per 20 minuti.

Una variante prevede l’aggiunta di formaggio: sunt item qui…caseum recentem et pinguem….pani includant, diventando così una sorta di pizza ante litteram senza pomodoro. Assolutamente da provare!

Le note storiche sono tratte da La cucina medievale di E. Carnevale Schianca